Unicef Israele bambini palestinesi: confessione di Nasser

Storie e Notizie N. 882

Secondo il recente rapporto da parte dell’Unicef dal titolo Bambini in Israele, Detenzione militare – Osservazioni e Raccomandazioni (Children in Israeli, Military detention – Observations and Recommendations), il maltrattamento dei minori nelle carceri israeliane è diffuso, sistematico e istituzionalizzato. Si legge che ogni anno circa 700 bambini palestinesi tra i 12 e i 17 anni sono arrestati e subiscono trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Sempre in base a questa relazione, peraltro redatta con la collaborazione del ministero degli Esteri israeliano, la maggior parte dei bambini viene arrestata per lancio di pietre.
Aggiune l'Unicef: dichiararsi colpevoli è il modo più veloce per essere rilasciati...


Signor Giudice,
ho dodici anni, mi chiamo Nasser e sono qui per confessare.
Sì, è tutto vero, sono colpevole.
Sono io il bambino che giovedì 28 febbraio scorso ha chinato il capo verso il basso e ha visto in terra quella bella pietra ben appuntita.
Sono sempre colui che si è piegato a raccoglierla e, dopo aver preso con cura la mira, l’ha lanciata contro il vostro blindato.
Il vostro blindato sulla nostra terra.
Oh, scusate, non voglio fare polemica.
Questo è un tribunale, non c’è posto per le divagazioni più o meno attinenti, più o meno rivelatrici.
Il mio processo - non quello di pace, è ovvio – riguarda il mio reato e nient’altro.
D’altra parte, lo so bene, il giudice può esaminare una causa per volta, altrimenti si fa confusione.
Colgo l’occasione per porgere all’accusa i miei sinceri complimenti, ha fatto un buon lavoro, perfetto, direi.
D’altronde è stato facile, tutti gli indizi erano contro di me.
La mano sinistra sporca di sabbia – sono mancino, lo ammetto – le mie impronte sul sasso e soprattutto il mio fuggire via subito dopo il lancio, con il sorriso stampato sul volto.
Ero contento, confesso anche questo.
Non ho mai avuto una buona mira, mio padre lo diceva sempre.
Finché è rimasto con noi, su questa terra, è chiaro.
Intendo il pianeta… ma rimanga comunque rilassata l’accusa, non c’è bisogno di gridare mi oppongo, non ho alcuna intenzione di tirare in ballo l’assassinio di mio padre a causa dei vostri bombardamenti.
Mi prendo le mie responsabilità.
E mi tengo stretta anche quella contentezza di cui parlavo poc’anzi, al pensiero che il mio scomparso genitore, ovunque sia, si sia ricreduto sulla capacità del sottoscritto di centrare il bersaglio.
So anche però che, se fosse stato ancora vivo, mi avrebbe ripreso con forza.
Capirete, non è certo questo il futuro che avrebbe voluto per me.
Mia madre non mi ha messo al mondo per venire arrestato e torturato per aver lanciato un sasso.
Tuttavia, i fatti sono contro di me e non mi nascondo.
Sono colpevole e pagherò per il delitto.
Perché questo dice la legge, la vostra.
Non domando alcuna grazia.
Tuttavia, se posso dire un’ultima parola, ci sarebbe una cosa che chiederei, non a voi, bensì al mondo che ci guarda da più o meno lontano.
Si chiama coerenza.
A voi mi rivolgo, ora, occhi e orecchie che osservate e ascoltate da un tempo ormai incalcolabile quel che sta accadendo al mio popolo.
Vi prego, abbiate la stessa coerenza con le leggi scritte sulla vostra stessa pelle, in breve umanità, per finalmente giudicare come merita questa triste e vergognosa storia.
Di colpevoli e innocenti.
 



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